Sotto Torchio - 13 Giugno 2022

Referendum giustizia, Castellani (Luiss): “Strumento di democrazia da reinventare con voto elettronico”

All’indomani degli appuntamenti referendario e delle amministrative in oltre 900 comuni, per l’approfondimento Sotto Torchio su Riformista Tv Aldo Torchiaro intervista Lorenzo Castellani, docente di Storia delle Istituzioni politiche presso la LUISS Guido Carli di Roma.
Si inizia dai numeri, dalle dolenti dote con un’affluenza al 20 percento per il referendum e 40 per le amministrative. Si è bucata la democrazia? Castellani: “Dividiamo tra referendum e amministrative. Per queste ultime il trend di partecipazione declinate esiste ormai da anni. Il dato non è particolarmente sorprendente. Anche il fatto che il voto sia stato a giugno non ha aiutato la partecipazione”.
Sul referendum: “Ci sono motivazioni diverse. Questa è l’affluenza più bassa nella storia dei referendum, perché singolo e non accoppiato ad altri temi. Gli altri erano stati stralciati dalla corte costituzionale. I partiti che li avevano proposti sono stati poi concentrati su altro. Come la guerra in Ucraina e le questioni economiche. Forse avevano scelto di non cavalcarlo. Dunque, risultati così modesti”.
Emerge tuttavia il tema della disaffezione culturale, qualcosa sulla quale il professor Castellani aveva già lavorato con la pubblicazione “Sotto Scacco (Liberilibri). Si può infatti dire che sia un’intera classe politica ad essere sotto scacco. “Negli ultimi 10 anni – spiega Castellani – ci siamo infilati in una lunga spirale di sfiducia politica e di dinamiche di delegittimazione della classe politica. Viviamo ormai in un mondo multilivello dove tante decisioni sono prese da soggetti non rappresentativi, come le banche centrali, le burocrazie, l’Unione europea. E ciò mette in crisi la politica come capacità di gestire la politica, come capacità di rappresentare i cittadini”.
Qual è la conseguenza: “Di fronte a tanti vincoli esterni e ad un’offerta politica che negli ultimi anni è andata deteriorandosi nella sua capacità di selezionare la classe dirigente, la risposta democratica è di scarsa partecipazione”.
Sulla scarsità di appeal della politica, Castellani: “Ci sono leader virtuali che, oltre la forma, hanno difficoltà a darsi sostanza, anche nella capacità di proporre visioni e prendere decisioni, nonché attuare riforme. L’ultimo che ci ha provato è stato Renzi proprio con un referendum, dopodiché abbiamo oscillato tra leader populisti, nazionalisti e figure tecniche. Tutto questo non aiuta la dialettica politica. Senza dimenticare che non ci sono più i partiti, i luoghi di formazione tradizionale della classe dirigente. Non esiste più un cursus honorum. Oggi ci troviamo o con novizi o persone che vengono da tutt’altre esperienze catapultati in una dimensione tutta mediatica”.
Confrontando i dati sui referendum, sino al 1995 l’affluenza alle urne è stata sempre superiore al 70 percento; dal 2007 al 2022 soltanto una consultazione su 9 ha superato il quorum. Cosa c’è da fare per tornare alla democrazia partecipata. Castellani: “I primi referendum arrivavano su questioni molto forti, riguardanti etica, diritti civili, antipolitica, leggi elettorali. Poi il meccanismo si è inceppato, anche per l’incapacità di coinvolgimento dei leader”.
L’alternativa: “Questo è uno strumento che può essere rivivificato attraverso forme di partecipazione più online, andando verso una politica tutta virtuale. Nei paesi baltici e del nord europea c’è l’idea di voto decentralizzato con voto elettronico che potrebbe essere sperimentato”. Sulle modalità di attuazione, continua Castellani: “Magari lo si può sperimentare a livello locale. E poi una volta messo in piedi uno strumento sufficientemente sicuro passare a livello nazionale. È chiaro che così com’è questo strumento fa molta fatica”.
Se sia il caso di cambiare linguaggio anche con la presentazione dei quesiti. In generale, riavvicinare gli elettori alla politica, semplificando i messaggi: “Questo sulla giustizia era abbastanza complicato. C’erano 5 quesiti complessi per un tema che tocca la via degli italiani tutti i giorni ma in maniera molto marginale, quindi era molto difficile far passare quell’elemento. Bisognerebbe chiedersi come mai una classe politica su un tema come quello della giustizia che è una riforma istituzionale per eccellenza cioè dovrebbe passare dal parlamento, alla fine si riduce a promuovere un referendum come questi e non lo fa su altri temi come quelli stralciati sull’eutanasia o sulla cannabis, e quindi perché un tema così delicato debba passare per un referendum quando è molto difficile farci sopra della comunicazione e mobilitare gli elettori”.
Se il referendum è andato male non è andata bene neanche la partecipazione alle amministrative nei pur tanti comuni dove si votava, con una media di partecipazione del 54, 72%. Ora usciamo dal tema dell’affluenza per andare sui risultati delle amministrative, un test politico-nazionale?
Non particolarmente sia perché mancavano tante città sia perché a livello locale in Italia si determinano dinamiche diverse da quello nazionale, sia perché sono due sistemi politici diversi. Doppio turno con un sistema maggioritario per i comuni sopra i 15mila abitanti ma anche perché in Italia c’è questo fenomeno molto forte sia delle liste civiche dove le coalizioni si mimetizzano, sia perché è un voto molto più personale e quindi molto più legato al candidato che non invece ai singoli partiti. In termini generali i due grandi rebus cioè l’alleanza del centrodestra e quella del centrosinistra mostrano debolezze abbastanza note cioè la tendenza a dividersi.
L’Italia dei comuni rimane tale, anche elettoralmente parlando. Centrodestra e centrosinistra sfarinati, ma in mezzo l’idea del polo liberaldemocratico e riformista: Italia Viva, Azione, +Europa dove stanno?
Ciò che si è visto nelle grandi città, Roma per esempio, cioè il voto alto per Calenda, è difficile vederlo ripetersi in teatri provinciali perché questi gruppi di centro o non riescono ad accordarsi tra loro o si dividono tra centrosinistra e centrodestra a seconda delle situazioni locali che però riflette una situazione nazionale ancora ambigua come i rapporti fra Renzi e Calenda sul futuro del centro con un pezzo degli ex berlusconiani, capire se sarà un centro autonomo o che deciderà di sposare una coalizione (in questo caso più probabile quello di centrosinistra. Finche non abbiamo un quadro nazionale più stabile con una legge elettorale e un accordo tra i leader dei partiti è molto difficile dargli una direzione. Ovviamente perdere tempo è molto rischioso per i vari Renzi e Calenda dato che da qua a massimo un anno saremmo già nel pieno delle politiche.
Si è votato però anche in Francia per le legislative con un esito ancora incerto.
I risultati sono positivi sia per Macron che per Mélenchon mentre certifica la scomparsa del partito socialista, una scarsa resistenza dei gaullisti intorno al 10% e una fatica di emergere di Zemmour poco sopra al 4%. Vediamo il secondo turno ma la grande esplosione a destra che sembrava essere in animo fino a qualche mese fa non c’è stata in Francia ma la Le Pen potrebbe raccogliere per la prima volta un gruppo parlamentare all’assemblea nazionale quindi un vantaggio l’ha ottenuto. È chiaro però che resta sempre un sistema imperniato su Macron e sulla sua capacità di ‘rubare’ l’elettorato moderato ad altre fazioni”

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