Prado: “Il declino del Corriere, da Sciascia a Caselli…”
Il palinsesto del Riformista Tv da oggi si arricchisce dei contributi dell’avvocato Iuri Maria Prado, pillole di approfondimento su cosa pubblicano e come lo fanno gli altri giornali nazionali.
Si inizia a bomba col Corriere della Sera con un articolo pubblicato il primo maggio a firma di Giancarlo Caselli: “Stiamo parlando di un ex magistrato – spiega Prado – che con la sua prosa togata ci dice che in Italia prima dell’avvento dell’Antimafia le carceri erano dei grand hotel”
“Poi – è ironico – abbiamo introdotto la tortura del 41bis ed abbiamo iniziato a ragionare”. Entrando poi nei contenuti dell’articolo: “Caselli, prendendo spunto dall’anniversario dell’uccisione di Pio La Torre, scrive ‘ecco che la mafia, di cui prima si negava spudoratamente l’esistenza, è finalmente vietata e punita come reato associativo”.
Prosegue sull’inciso: “Non si offenderebbe la memoria di Pio La Torre riconoscendo anche ciò che è stato fatto di male in quarant’anni di antimafia, in quarant’anni di legislazione di cultura antimafia. Il gran danno che è stato fatto al Paese è proprio rispondere a quel ‘la mafia non esiste’ mettendo ‘la mafia’ dove non dovrebbe esistere e cioè nella legge. E quinci ci si è inventati il delitto mafioso. Cioè l’omicidio mafioso, l’estorsione mafiosa, la testata mafiosa. Perfino le liste elettorali mafiose”.
Il risultato: “I processi hanno iniziato a svilupparsi sull’indizio di mafiosità. E senza mai che ci fosse di individuabile un nome e un cognome di un delitto a sua volta individuabile, come l’omicidio o l’estorsione”.
“I titoloni che leggiamo ora ‘arrestato per mafia’ o ‘condannato per mafia’ – prosegue – derivano proprio da quella cultura. E non sono più purtroppo semplificazioni giornalistiche. Sono purtroppo diventate realtà processuali. Questa è una cosa che a Caselli e a quelli che la pensano come lui può piacere moltissimo. Ma forse non piace proprio a tutti. Con ciò non voglio dire che Caselli non dovrebbe scrivere o il Corriere non dovrebbe pubblicarlo. Ma per una volta mettergli affianco l’impostazione contraria. Perché caro direttore Fontana c’è una grande letteratura non solo civile ma anche scientifica che ha grandi dubbi e riserve sul fatto che la legislazione della cultura antimafia abbiano fatto davvero sempre bene a questo paese”.
“Non sono soltanto – conclude – gli amici dei mafiosi a pensarla in questo modo. Caro direttore Fontana sul Corriere della Sera ci scriveva Leonardo Sciascia”.