
Ciro Colonna vittima innocente della camorra, la sorella: “Qui a Ponticelli non è cambiato nulla”
Morire sotto casa a 19 anni colpiti da un proiettile. Essere uccisi “per sbaglio” nel tuo quartiere mentre stai giocando con gli amici. A Napoli, nel suo centro e nella sua periferia, succede ancora. Troppo. Ed è successo a Ciro Colonna sei anni fa. Aveva solo 19 anni. Fu ucciso il 7 giugno 2016 nel quartiere Ponticelli di Napoli. Stava giocando a biliardino con un’amica nell’unico punto di ritrovo per i ragazzi di tutta la zona quando all’improvviso entrarono persone armate di pistola che spararono all’impazzata. Ciro fu ucciso per sbaglio: lui con la criminalità non c’entrava nulla. La sua ‘colpa’ era semplicemente essere per caso in quel momento nello stesso posto in cui un boss della Sanità stava giocando a carte seduto a un tavolino poco distante. Ciro, come Antonio Landieri o Genny Cesarano, ucciso per la sola colpa di vivere in un territorio dove lo Stato sembra aver gettato la spugna.
‘Non luoghi’ come il Lotto zero, che si è sempre chiamato Lotto “O” come la lettera dell’alfabeto, come tutti gli altri palazzoni di cemento di Ponticelli, ognuno con la sua lettera. Ma lì prevale la sensazione di “zero” e così lo chiamano. “Da quando Ciro è stato ucciso alle 16 di un pomeriggio d’estate, non è cambiato nulla. Niente c’era e niente c’è – dice Mary Colonna, 27 anni, sorella di Ciro – Lui era lì che viveva la sua vita normalmente nel posto dove è nato e cresciuto dove doveva sentirsi al sicuro e invece non è stato così. Dico ‘Doveva’ perché a oggi nemmeno io mi sento al sicuro e sono passati ben 6 anni dalla morte di mio fratello”.
Ciro si trovava al circoletto quel pomeriggio. Quando arrivarono quegli uomini armati, insieme alla sua amica scapparono. Nella fuga gli caddero a terra gli occhiali. Lui si chinò per prenderli e così fu colpito, non riuscendosi a mettere in salvo. “A volte mi chiedo se non avesse raccolto gli occhiali o anche se in quel momento ci fosse stata una pattuglia a passare da lì magari tutto questo non sarebbe successo – continua Mary – Poi hanno parlato di mio fratello come un camorrista, senza sapere che lui è il primo bamboccione. Senza sapere che a casa di questo ragazzo c’è una casalinga e un padre onesto lavoratore. Quando hanno ucciso mio fratello papà era a Firenze per lavoro. Gli abbiamo dovuto dire che Ciro aveva avuto un incidente e che doveva tornare subito. Lui guida i camion, era pericoloso, si sarebbe sentito male. Ha visto il figlio quando era già morto in una cella frigorifera”.
Per Mary e la sua famiglia al dolore della perdita del fratello si è aggiunta anche quella di essere additato per quello che non era, un criminale, solo per il fatto di essere nato a Ponticelli. “Provai rabbia, tanta rabbia per questo – continua Mary – non puoi giudicare una persona senza conoscerla solo perché è stata uccisa con una pistola in un quartiere che è quello che è. È successo a Ciro, può succedere ad altri di essere etichettati solo per il posto in cui abitano. Ma non è così. ‘Sei del Lotto Zero allora sei un criminale’ ma io vivo qui e non lo sono. Gli stessi amici di Ciro hanno sudato per costruirsi un futuro. Anche Ciro lo avrebbe fatto ma non gli è stata data la possibilità”.
“Ciro era un grande sognatore, aveva due desideri e lo ripeteva sempre: aprirsi un bar in un posto esotico oppure andare via da Napoli per trovare un lavoro semplice, magari se non si lavorava tanto era anche più contento – dice scherzando Mary – Forse quel sogno si sarebbe realizzato da lì a poco perché il suo amico c’è riuscito. Non immaginava niente di complicato per la sua vita, solo un lavoro onesto. Perché questo ci hanno insegnato i nostri genitori: l’onestà, il lavoro pulito e il rispetto per l’altro. Valori che oggi sembrano così rari”.
Pochi giorni fa la Cassazione ha chiuso l’iter giudiziario sull’omicidio di Ciro Colonna, vittima innocente della criminalità organizzata. I giudici hanno infatti confermato con la sentenza le condanne comminate nel dicembre del 2020 dalla Quinta Sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli: sei ergastoli, una assoluzione e una riduzione di pena dall’ergastolo a vent’anni, per esecutori e mandanti del raid costato la vita a Ciro. “Chi ha sbagliato adesso paga – dice Mary – sono stata ‘contenta’ tra virgolette ma allo stesso tempo immagino che dall’altra parte ci sono altri familiari che magari non hanno scelto al stessa vita degli imputati e che ne sentiranno la mancanza. Mi metto nei loro panni e spero che loro possano comprendere me: io sto affrontando un ergastolo da 6 anni ma che non finirà mai e non mi era nemmeno dovuto”.
Per Mary il quartiere dove da sempre vive è abbandonato a se stesso. “Se non fosse per i volontari che cercano di recuperare il recuperabile non c’è nulla – dice amareggiata – In questi sei anni non è cambiato nulla. Spero che non ci saranno più vittime innocenti. La morte di Ciro è stata una perdita per noi familiari ma anche per Napoli stessa: abbiamo perso un’altra persona per bene, un ragazzo che aveva da offrire qualcosa di buono. L’unica cosa che posso dire che è cambiata è il centro che è stato aperto per Ciro che darà opportunità ai giovani di ritrovarsi in un posto sicuro dove poter imparare qualcosa di buono come un mestiere o appassionarsi a qualcosa. Se fosse esistito quando è stato ucciso mio fratello forse tutto questo non sarebbe successo”.
Nel giro di un anno furono individuati i colpevoli di quel raid armato al circoletto che costò la vita a Ciro. “Non sapevo chi era stato – continua Mary – Passai quell’anno nell’angoscia che magari avrei potuto incontrare chi ha ucciso mio fratello per strada mentre passeggiavo o sull’autobus. Avevo il sentore che quegli assassini potevano essere miei coetanei, e così è stato. E mi dispiace per questi ragazzi. Per questo motivo continuo ad andare nelle scuole a parlare di Ciro. Ogni volta è una ferita che si apre, un dolore che non si rimargina mai, però lo faccio non per me, perché ormai mio fratello non torna. Lo faccio per evitare che i ragazzi del domani prendano la strada sbagliata”.
Mary che è moglie e madre da poco, nonostante tutto ad andarsene non ci pensa proprio. “Prima o poi andrò via da qua ma non da Napoli, perché è la mia città. Andrò via solo perché ho bisogno dei miei spazi ora che ho la mia famiglia. Ma i miei genitori no, loro vogliono restare qui dove hanno cresciuto i loro figli. Perché se ne dovrebbero andare? Noi siamo persone tranquille, come tante che vivono qui, in questi enormi palazzoni grigi che non offrono molto però è il nostro tetto e lo è sempre stato”.